La fatica di stare sotto le parti

La Politica è stata definita da San Paolo VI “la più alta forma di carità”. Cattolici dichiaratamente praticanti sono oggi presenti in ogni parte politica, anche ai massimi livelli di governo. La maggioranza politica, quindi con il consenso degli elettori, ha approvato leggi ispirate alla paura e alla divisione. Il cosiddetto decreto sicurezza e la revisione della legittima difesa sembrano andare infatti in questa direzione, incuranti dei dati reali che descrivono fenomeni come la criminalità e l’immigrazione.
Il maggiore partito di opposizione, che non perde occasione per chiedere iniziative che promuovano inclusione e integrazione sociale, ha recentemente minacciato di espulsione la capo gruppo consiliare al Comune di Verona. La colpa sarebbe quella di aver appoggiato una mozione della parte avversa che prevede interventi per rimuovere le cause sociali ed economiche che inducono la donna all’aborto. Questi interventi sono previsti nella stessa legge dello stato che consente l’aborto legale.
Sono questi solo due esempi per dire come forte sia la tentazione di “scendere in campo” per mettere la Chiesa a fianco delle scelte giuste e contestare quelle sbagliate. L’esperienza degli ultimi anni ha confermato l’intuizione, che fu già del Concilio Vaticano II, poi forse trascurata, che questa non è la strada. Per anni si è parlato di fine del collateralismo, solo per chiedere alla Chiesa di essere collaterale ad un progetto politico diverso da quello precedente.
La Chiesa, e con essa la nostra Associazione, non può nemmeno essere “sopra le parti”. Super Partes ci sono la Magistratura, i Prefetti, il Presidente della Repubblica etc., che hanno il dovere di assicurare l’applicazione delle regole che attraverso la Politica la società si dà per la promozione del Bene Comune. La nostra Associazione vuole essere oggi “sotto le parti”, annunciando la Verità del Vangelo ma anche dando voce a chi non ha voce, mettendosi tra i poveri, intesi non come classe sociale ma come categoria evangelica, con lo stile di Don Lorenzo Milani nella lettera a Pipetta.
L’urgenza quindi non è quella di interrogarsi sulla “rilevanza politica dei cattolici” ma formare e incoraggiare sempre più cattolici formati, giovani e adulti, a mettersi a servizio. Lo stile di servizio appreso nella Chiesa dovrebbe per prima cosa portare ad accogliere e ascoltare, prima di proporre soluzioni.
I fedeli laici impegnati in politica sono pertanto liberi di proporre le strade che ritengono praticabili, qui ed ora secondo la loro coscienza.
Il giudizio politico spetta agli elettori, dei quali fanno parte anche, ma non solo, altri fedeli laici che sono ugualmente chiamati a formare la loro coscienza.
La Chiesa deve invece essere libera di ricordarci che il giudizio finale è quello del Signore Gesù, morto in croce e risorto.
Questo Giudizio non è sui punti di un programma, ma su quanto abbiamo amato. Molto più impegnativo, per fortuna è un giudizio di misericordia…

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