L’AC: nell’incontro di fede e vita, un “io” che diventa “noi”

Paolo Montagna, Presidente Diocesano 2011-2017


Quante volte, prima e durante gli anni in cui sono stato presidente diocesano a Pavia (2011-17), mi sono sentito chiedere: ma ha senso ancora l’AC? A che serve? Quello che faceva decenni fa ora lo fanno tutti, e non sembra esserci qualcosa di specifico o di speciale che la distingue da altre associazioni e movimenti, e tantomeno dalle normali attività di collaborazione e responsabilità di tanti laici cristiani nelle nostre parrocchie. E confesso che, ormai preparato a queste obiezioni, avevo molte risposte pronte, alcune credo anche molto valide, soprattutto oggi in un contesto sociale ed ecclesiale così faticoso.

Ma ora posso parlare in modo diverso, non più come presidente ma come Paolo: uomo, marito, papà, lavoratore, educatore, cittadino, cristiano. L’AC ha senso perché per me ne ha avuto uno immenso: mi ha fatto diventare quello che sono! Una persona con tanti limiti e difetti, che però negli anni ha maturato una passione per la vita e la fede, per lo studio e il lavoro, per la famiglia e la comunità, per la città e la Chiesa. E queste cose non in un mondo ideale, perfetto, che non esiste: no, proprio quelle magari piccole e povere, con tanti limiti e difetti proprio come me, nelle quali sono stato chiamato a vivere.

Come posso dire questo? Perché da ragazzo un grande sacerdote mi ha fatto incontrare altri amici con i quali ho camminato insieme, partecipando a esperienze ricchissime dal punto di vista umano e cristiano, come i campi scuola (e dopo 40 anni ancora oggi non riesco a rinunciarvi!), incontrando amici in gamba, a livello parrocchiale, diocesano, regionale e nazionale, che camminando con me mi hanno dato tanto. Tutte le grandi esperienze della mia vita sono nate e vissute in Azione Cattolica (o al Tonale, nella “nostra” Casa Alpina): lì ho incontrato mia moglie e tanti amici, lì ho pregato, riflettuto, cantato, giocato… e camminato, camminato tanto!

E l’AC mi ha fatto crescere, nella vita e nella fede, insegnandomi a non separarle mai, a non vivere “due vite” diverse, in chiesa e a casa o al lavoro, ma una vita sola, da credente immerso nel mondo (uno slogan che non dimentico mai, insegnatomi da un assistente di AC da giovane: “ogni giorno con in mano il Vangelo e il giornale”), vivendo la fede non in modo dogmatico o devozionale, ma in modo libero e critico,  e così assumendo con intensità e passione le mie responsabilità nel mondo adulto, in famiglia, sul lavoro, nella società, nella comunità cristiana. E mai in modo individualistico, ma sempre insieme alle persone che il Signore di volta in volta mi ha posto accanto, nei luoghi quotidiani (famiglia, ufficio, parrocchia…) in cui mi ha chiamato a vivere. Insieme, non da soli, facendosi riconoscere nel camminare insieme, perché altri vedano e possano unirsi a questo cammino comune: ecco la bellezza di essere associazione…

Mi rendo conto che dovevo parlare dell’AC e invece ho parlato di me… Perdonatemi, ma forse non riesco a farne a meno: non posso parlare dell’AC senza parlare di me, perché per me l’AC non è un’associazione “sulla carta” che fa cose più o meno interessanti, ma è un’esperienza viva che mi ha trasformato! E quindi questa esperienza mi sento di proporre anche ad altri: se è riuscita con me che sono così fragile e limitato…

Insomma, l’AC per me è stata – ed è ancora – una palestra di vita, umana e cristiana. E di questo credo che oggi ci sia tanto bisogno, forse molto più di prima. E a una cosa così bella non si rinuncia, e si vorrebbe condividerla con altri. Con i nostri sacerdoti innanzitutto, perché – soprattutto in questo momento storico in cui spesso essi sentono la fatica e la stanchezza della loro missione, e noi laici magari avvertiamo con tristezza questo loro stato d’animo – sarebbe bello vivere insieme esperienze così autentiche e appassionanti di vita e di fede, incoraggiandoci e sostenendoci a vicenda. Sì, l’AC è stata per me anche il luogo dove laici e preti possono sentirsi davvero vicini, non contrapposti “per categorie” ma veri amici che camminano insieme fianco a fianco, donandosi gli uni agli altri le proprie ricchezze e le proprie peculiarità. Tante volte ho pensato – anche con un certo cruccio per non essere riuscito a farlo capire a tanti sacerdoti e laici in questi anni – come sarebbe bello se nelle nostre parrocchie, nella nostra diocesi, potessimo condividere idee e opinioni, emozioni e impressioni, entusiasmi e fatiche della nostra vita e della nostra Chiesa, da veri corresponsabili perché veramente innamorati di Gesù e della Chiesa. Ma anche nella delusione (molto evangelica!) di tanti insuccessi e talvolta perfino qualche derisione, lo penso ancora: come sarebbe bello se insieme…

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