Ci voleva la guerra…

di Paolo Montagna

“Eh ci vorrebbe una guerra per farci capire…”

Quante volte, scambiando qualche battuta con amici, magari non troppo giovani, ci siamo detti una frase del genere, a significare che noi ormai – noi Italiani, noi occidentali, noi figli del benessere e del capitalismo – eravamo talmente abituati a sentirci onnipotenti da fregarcene di tutto e di tutti, cercando spesso ciascuno il proprio interesse attraverso comportamenti e stili di vita assolutamente arbitrari. Eh sì: tutti noi siamo figli di un tempo in cui tutto è possibile e tutto è lecito, in cui ciascuno vive come vuole, seguendo le proprie passioni e i propri piaceri, con pochi doveri e tanti diritti (e talvolta perfino chiamando diritti i propri desideri!). E purtroppo spesso anche con atteggiamenti di irresponsabile inconsapevolezza contro ciò che rappresenta un bene comune, come la sanità o la scuola pubblica, tanto spesso vituperate e sottovalutate (e sottofinanziate, anche con il colpevole contributo di tanti evasori fiscali).

Ci voleva una guerra. Ecco, la guerra è arrivata. Non quella che ci si poteva aspettare pur con catastrofiche previsioni: non un terremoto, che tutto distrugge in un attimo in una regione portando sul lastrico la popolazione locale; non un atto terroristico, che colpisce a morte chi si trova nel posto sbagliato nel momento sbagliato facendo crollare sogni e progetti di tante persone e famiglie. No, nulla di tutto questo.

Un nemico diverso, molto più subdolo, assolutamente inatteso, capace di insinuarsi nella vita quotidiana di milioni di persone in un territorio immenso e per un tempo lunghissimo senza che nessuno riesca a combatterlo efficacemente. Soprattutto, facendo in modo che le due “tifoserie opposte” (è ormai universalmente diffusa l’abitudine a ragionare non per argomentazioni ma per contrapposizioni tra parti avverse) dei catastrofisti e dei minimalisti si annullassero a vicenda. Il virus è in Cina, peggio per loro, e mai ci raggiungerà; oppure, il virus è ovunque, si salvi chi può. E sempre con una buona dose di individualismo massiccio: si salvi chi può purché mi salvi io, con i miei cari, i miei beni, i miei soldi.

E intanto nella nostra vita non cambiava nulla, e continuavamo imperterriti a dedicare interi telegiornali alle ultime dichiarazioni più o meno farneticanti di Salvini, Di Maio o Renzi, o al massimo di Trump o Putin, come se queste fossero veramente le notizie importanti per l’Italia o addirittura per il mondo intero.

Ora ci siamo accorti che le notizie importanti sono altre. E’ accaduto qualcosa di incredibile, di surreale, che ha sconvolto la vita di tutti, che ha costretto a rivedere totalmente ogni prospettiva, facendo saltare in aria progetti e impegni come mai era successo proprio dall’ultima guerra, 75 anni fa, un tempo di cui ormai ben poche persone hanno ancora memoria.

Noi la guerra in Italia non l’abbiamo vissuta, l’abbiamo sentita solo raccontare da genitori e nonni. E quando ci si è presentata, travestita sotto forma di tragedie umanitarie di tante persone come noi, nostri fratelli perseguitati e oppressi, in Libia come in Siria, in Africa come in Medio Oriente o come in tanti altri contesti dimenticati di guerra, fame, violenza… noi abbiamo sempre girato la testa dall’altra parte per non vedere e non lasciarci interpellare dalle sofferenze. Abbiamo alzato muri e chiuso confini, per evitare di essere “contaminati” dal confronto aspro con milioni di fratelli profughi, stremati dalle sofferenze patite, che bussavano alla nostra porta per avere un aiuto. Poverini quelli che muoiono di fame in Africa, ma aiutiamoli a casa loro. Che orrore i migranti che sbarcano in Europa, ricacciamoli indietro se proprio non vogliamo buttarli in mare, non possono certo stare da noi a toglierci l’aria, sottraendoci il lavoro, minacciando la nostra identità di italiani e di cristiani. Noi che “guarda quelli, dicono di essere così poveri eppure arrivano col cellulare”, senza capire che quel cellulare era l’unico vostro immenso bene, l’unico strumento che vi permetteva di tenere in mano la vostra vita, nel contatto con le vostre famiglie. Che stupidi a non averci pensato eh?

Ebbene, ora i “malati” siamo noi. Si sono invertite le parti. Noi, quelli con le agende piene di impegni irrinunciabili, di lavoro e studio, di viaggi e divertimento, di cultura e sport, di weekend e vacanze… Tutte cose bellissime, che ci hanno riempito la vita da sempre, a cui teniamo tantissimo: conquiste dell’era moderna. E che abbiamo sempre dato per scontate, tanto erano ovvie per tutti noi. In pochi giorni, una crescita esponenziale del contagio ha messo KO un intero Paese e mezzo mondo, quel mondo che si credeva invincibile e onnipotente. Programmi scolastici e universitari sconvolti, impegni di lavoro annullati, attività commerciali bloccate, economia affossata… E soprattutto, abitudini completamente ribaltate.

Ma chi avrebbe pensato che la propria libertà di uscire con gli amici, di andare al cinema o al ristorante, di passare il weekend al mare o in montagna, potesse di punto in bianco essere annullata? Che le nostre città brulicanti di vita, di traffico e di smog, di frenesia quotidiana di tante persone che continuamente corrono in modo ossessivo tra lavoro, scuola, palestra, oratorio, supermercato… potessero come per incanto trasformarsi in luoghi cupi e tristi fatti di case in cui tutti sono rinchiusi in gabbia tra le loro quattro mura, in un silenzio irreale delle strade completamente deserte, in un’atmosfera angosciante e tesa per la sorte propria e di tante persone care, amici e concittadini?

E ora siamo qui, chiusi in casa, vergognandoci di aver paura e di aver bisogno di poche cose semplici: un po’ di distrazione, una passeggiata, una chiacchierata con gli amici… Siamo qui a non riuscire ad ammettere la nostra angoscia, mentre vediamo realtà e persone a noi vicinissime precipitare nell’incubo di poter perdere un familiare senza nemmeno poterlo salutare, senza poter condividere il dolore nell’abbraccio delle persone care e degli amici.

Questa angoscia può farci “morire” a noi stessi, toglierci l’aria come il virus toglie l’aria a chi muore. Oppure stordirci nell’oppressione ora, per poi farci risvegliare di colpo tra alcuni mesi in una consapevolezza di vita totalmente nuova.

Chi saremo tra qualche mese? Lo dicono in tanti: non saremo più quelli di prima. E’ venuta la “guerra”, e ha cambiato i connotati a una generazione di ragazzi, di giovani, di adulti, di anziani. Nessuno, nemmeno chi aveva visto la guerra, aveva mai vissuto un’esperienza simile. E nessuno era preparato a viverla, né tantomeno lo avrebbe mai immaginato. E ora tutti ci accorgiamo di ciò che davvero vale, e che nella nostra vita precedente, collettiva e individuale, non avevamo mai notato, tutti presi a correre freneticamente su e giù per le nostre attività.

L’essenziale: quante volte abbiamo citato questa parola, quante volte abbiamo riflettuto sulla necessità di recuperare l’essenziale nella nostra vita. Ma erano esortazioni generali, se non addirittura generiche. Perché fino a quando non saremmo finiti con le spalle al muro, mai lo avremmo pensato davvero. Ora è accaduto, e come in ogni grande crisi c’è una grande opportunità. Lo abbiamo capito davvero cosa è essenziale? Abbiamo capito cosa vuol dire non sapere se domani saremo ancora vivi con i nostri cari, se potremo ancora lavorare e studiare, se potremo ancora abbracciare le persone che amiamo, se potremo ancora divertirci e viaggiare, se potremo ancora realizzare i nostri sogni?

Fratelli migranti, poveri, malati, disabili, carcerati, profughi, oppressi… Fratelli, stateci vicini, anche se non ce lo meritiamo, noi che vi abbiamo sempre guardati da lontano con sufficienza e superiorità, che avevamo tutte le ricette pronte per risolvere i problemi del mondo dalle nostre comode poltrone. Oggi siamo noi che abbiamo bisogno di voi. Insegnateci l’essenziale.

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