Quando un prete sa cambiare la vita di una persona

La mia storia personale con don Bruno

In queste settimane, è stata per me bella ed emozionante la valanga di testimonianze e ricordi affettuosi che hanno accompagnato su questo giornale la scomparsa di don Bruno Malcovati. Conosco bene la loro autenticità e il loro valore, perché li sento anche miei, fortemente impressi nella mia vita.

Ognuno di noi, arrivato all’età matura, rilegge la propria storia, il proprio vissuto, ricordando le persone che gli hanno voluto bene, che hanno accompagnato e magari sono state decisive per le scelte importanti da lui compiute (studio, lavoro, matrimonio, figli…), che lo hanno ascoltato e consigliato in tanti momenti delicati. Certamente i genitori, i nonni, forse qualche insegnante, qualche educatore, qualche amico fidato, poi il proprio coniuge, forse altre persone di riferimento. E ci sono momenti o luoghi particolari, che riletti a distanza di anni hanno il sapore di tappe fondamentali per la propria vita, pietre miliari che hanno segnato il proprio cammino in modo tale che se non fossero avvenute quelle esperienze la persona sarebbe diventata totalmente diversa da quella che è.

Ecco: per me – come per molti altri – la persona decisiva è stata un semplice prete, buono, mite, umile, restio a ogni visibilità e protagonismo, che agiva nel quotidiano e nell’ombra, senza voler essere notato da nessuno, insomma quello che “non farà mai carriera”. Era un prete giovane e un po’ strano, dai misteriosi capelli bianchissimi nonostante la giovane età, dal sorriso contagioso, dalle espressioni bislacche di significato incomprensibile ma di efficacia contagiosa e trascinante (“Pompieri di Viggiù!”, “Oh santa Gibalgina!”, “Il pullman parte!”), dal cuore grande e aperto a ogni incontro con ogni persona, dagli occhi profondi capaci di scavare dentro ogni ragazzo e ragazza e scrutarlo nell’intimo fino a quando questi si raccontava a lui aprendogli il cuore per sentirsi accolto e abbracciato da questo prete amico. Amico, tanto amico da soffrire per lui o lei, da dedicargli ore e ore, spesso per giorni e giorni, fino a conquistare la sua fiducia totale e poterlo direzionare in un cammino di vita e di fede alla ricerca della propria vocazione. Direzione spirituale autentica, così importante, così preziosa, così rara oggi.

C’è una data precisa nella mia vita divenuta pietra miliare. Un giorno feriale normalissimo: 20 settembre 1978. Il giorno prima ero entrato in quarta ginnasio al Foscolo, 13enne spaurito in quel liceo così importante che non smetterò mai di ringraziare. Il secondo giorno avevo conosciuto il mio insegnante di religione, don Bruno. Che subito ci aveva fatto una proposta: venite con me, nel Movimento Studenti di Azione Cattolica, in via Menocchio 43. Quel pomeriggio verso le 18, con una compagna che aveva lì già un fratello più grande, ero andato a vedere. C’erano un ping-pong, un biliardino, e altri ragazzi, molti del Foscolo ma anche di altre scuole, che giocavano tra loro e con don Bruno. Mi sono trovato bene, e ci sono tornato quasi tutti i giorni successivi, sempre dopo lo studio, verso le 18. E ho scoperto che il giovedì don Bruno celebrava la Messa per noi ragazzi, un altro giorno ci riuniva per dialogare e discutere su temi importanti, legati alla fede, o alla scuola, o alla società, o alla politica, o alla Chiesa. Poi il 31 ottobre, sotto una nebbia fitta, ci portava in bicicletta a fare una castagnata sulla spiaggia di S.Sofia a Ticino. E il sabato pomeriggio ci si trovava presto, si stava insieme tutto il giorno, fino alla pizza serale. E facevamo cose, organizzavamo iniziative, pensavamo a come costruire un mondo migliore, lo scrivevamo su un giornalino nostro, che si chiamava “L’Anello”, per essere l’anello di una catena (il direttore era l’indimenticabile grande amico Michele Saletti).

Se ci penso ora, mi accorgo che questa “magia” è durata pochissimo, gli anni del liceo. Ma don Bruno dal primo giorno è stato con noi ragazzi, e ci ha dato sempre più fiducia e responsabilità. Avevamo 18 anni, o 16, o 14… non importava, eravamo fortissimi, perché lui era con noi, e insieme a lui Gesù era con noi. Michele dirigeva il giornalino a 14 anni, io sono diventato segretario diocesano del MSAC (Movimento Studenti di Azione Cattolica) a 16, ho partecipato a campi nazionali dell’Azione Cattolica a 18, ho assunto responsabilità in ambito scolastico ed ecclesiale giovanissimo, continuando a formarmi e informarmi. “Vangelo e giornale sono i due libri che dovete avere in mano tutti i giorni”, ci diceva don Bruno insieme all’AC nazionale che pian piano incontravamo, in convegni fantastici a Roma nei quali incontravamo persone e idee eccezionali e sprizzavamo entusiasmo da tutti i pori (e don Bruno ci portava a prendere il gelato alla Mela Stregata a Ponte S.Angelo, convincendoci che era il modo per ritornare un’altra volta!).

Ma i ricordi sono già troppo avanti… Prima c’è una seconda data altrettanto importante, sempre per me 13enne: il 27 dicembre 1978. E il luogo è mitico, entrato in me quel giorno per non uscirne mai più: la Casa Alpina del Tonale. Don Bruno la amava in modo spudorato, senza limiti, senza ritegno, e in Casa Alpina si sentiva rigenerato, dava il meglio di sé, era una esplosione di vita e di gioia. In quella Casa, ereditata dal suo maestro don Bruno Mascherpa, lui ha costruito e favorito le relazioni più autentiche e scritto pagine incomparabili di vita della Chiesa pavese, dell’Azione Cattolica, di tante famiglie e vocazioni laicali che si sono espresse poi nelle esperienze più diverse a servizio del nostro territorio. Io, ragazzino, quel giorno con i miei nuovi amici del MSAC e don Bruno ero arrivato in Casa Alpina per le vacanze sciistiche invernali. E quella Casa, come già la sede AC di via Menocchio, è diventata da allora (fino a quando è stato possibile, nel 2008, ahimè…) anche la mia casa, la mia famiglia, l’ambiente caldo e accogliente nel quale ho costruito tutte le mie amicizie più importanti, la mia fede e il mio impegno, le mie scelte di vita e vocazionali (mi piace dire che quel 27 dicembre 1978 io in Casa Alpina ho certamente incontrato Elena, che molti anni dopo diventerà mia moglie, e che era già lì ragazzina con i suoi genitori…).

In Casa Alpina, nel 1980 (io avevo 15 anni!), con don Bruno e tanti amici abbiamo “inventato” il nuovissimo Campo Scuola MSAC, con decine e decine di studenti delle scuole pavesi che per 5 giorni vivevano h24 insieme, discutendo, pregando, camminando, giocando, cantando, scherzando, mangiando, non-dormendo… Gioia e passione di ragazzi ai massimi livelli, con falò finale l’ultima sera e pianti interminabili alla partenza. E legami, legami creati e spesso rimasti nel tempo. E un seme gettato da don Bruno, che in quei giorni riusciva a parlare con tutti e con tutte, a interessarsi della vita di ciascuno: aveva un luogo preciso per i suoi colloqui, un sasso fuori della Casa Alpina dove si sedeva e parlava fitto fitto con ogni ragazzo, spesso anche confessandolo.

Per lui dialogo, confessione sacramentale e direzione spirituale si confondevano in un unico momento. Nessun confessionale, solo un sasso su cui stare seduti al Tonale, o una sedia a Pavia. Chi di noi gli apriva il cuore si sentiva già alla presenza di Gesù, amico buono e fedele che tramite don Bruno ti abbracciava, ti accoglieva, ti capiva nelle tue difficoltà e nelle tue cadute, e alla fine ti concedeva il perdono con un largo sorriso complice che ti diceva “adesso vai, non sbagliare più, sai la strada che devi percorrere, corri veloce per quella strada con tanta gioia e con tutti i tuoi amici. Io sono con te!”. E tu uscivi da quei colloqui felice, trasformato, pronto a riprendere il cammino. E domani ancora, e poi ancora, sempre con don Bruno accanto, che non mancava mai di essere con noi ragazzi ogni giorno.

Questi campi al Tonale, queste esperienze di vita così intense, si sono trasformati negli anni seguendo le tappe della vita. Dopo i campi MSAC io ho fatto per molti anni quelli del Settore Giovani di AC e le Settimane Teologiche della FUCI, nei quali ho incontrato diversi amici poi rimasti per la vita, poi con Elena dopo il matrimonio siamo rimasti sempre ai campi Adulti e Famiglie dell’Azione Cattolica. Ancora adesso! il valore dei campi estivi non finisce certo con la giovinezza… Sono esperienze che ti cambiano dentro, ti fanno vedere il mondo con gli occhi della fede e soprattutto della comunità, mai in modo individualistico, ma sempre con gli occhi degli altri, degli amici, della Chiesa. Questo ce l’ha insegnato don Bruno in quegli anni al Tonale, lo ha impresso in noi, e nessuno lo potrà mai cancellare.

Quel seme di vita comunitaria ed ecclesiale è lo stesso seme che don Bruno ha sempre gettato nel campo che più gli è stato congeniale: l’accompagnamento dei fidanzati verso il matrimonio e la vita di sposi. Era felice come un bambino quando tra un ragazzo e una ragazza scoccava la scintilla dell’innamoramento: li prendeva in giro, li faceva arrossire, e con i suoi occhietti li scrutava in ogni passo per vedere se la storia d’amore poteva continuare positivamente. E poi li chiamava, ascoltava i loro desideri e i loro problemi, e pian piano cominciava a incontrarli e accompagnarli. E’ stato così anche con me e Elena: era il 1988, e don Bruno è stato decisivo per me per aiutarmi a dissipare i dubbi sulla mia vocazione che mi creavano ansia e mi impedivano di vedere con limpidezza l’amore di Elena che stava entrando nella mia vita per non lasciarmi più. Lui ha capito, mi ha preso per mano, mi ha rasserenato, e poi insieme io e Elena abbiamo camminato con lui, in un gruppo di fidanzati che si riuniva in Borgo Ticino affrontando per anni le tematiche dell’amore di coppia. E così siamo arrivati, con tanti amici rimasti fino a oggi, alla grande festa del nostro matrimonio, ricordato da tutti come lunghissimo ma bellissimo proprio per la gioia di comunità che si respirava. Don Bruno quel giorno, il 3 luglio 1993, era al settimo cielo, perché la sua Elena e il suo Paolo si univano in matrimonio tra tantissimi amici. E in un’omelia per noi memorabile ci disse “voi avete ricevuto dal Signore la vocazione di creare comunità”. Non so se e quanto ci siamo riusciti, ma certamente il Signore per donarci questa vocazione si è servito soprattutto di don Bruno.

Tante altre cose potrei scrivere su don Bruno nella mia vita. Ho scritto le tappe decisive, ma poi c’è tutta la costruzione quotidiana di una personalità adulta nella fede e nell’amore, nell’impegno e nella responsabilità, nell’amicizia e nella comunità. Don Bruno in me ha costruito tutto questo, e se non sono riuscito a metterlo in pratica è solo per colpa o limite mio, perché io posso solo riconoscere che lui – insieme ai miei genitori, a mia moglie Elena, a mia figlia Chiara e a poche altre persone – è stato certamente la persona decisiva per farmi diventare quello che sono. Se non avessi incontrato don Bruno, sarei una persona diversa.

Ora non c’è più, come non ci sono più i miei genitori. Mi sento doppiamente orfano senza di lui. Però ancora una volta la mente va a quando ero ragazzo, nei nostri incontri al MSAC. Noi gli ponevamo tutti i dubbi di fede, nell’età in cui si rinnegano le verità imparate a catechismo e si deve crescere nella fede con argomentazioni critiche personali, e lui accettava sempre il confronto. Ricordo bene il dubbio atroce: c’è vita oltre la morte o tutto finisce nel nulla? Don Bruno rispondeva: ma guardate nel vostro cuore, che esplosione di sentimenti ricordi emozioni gioie dolori rabbie tristezze entusiasmi… legati a tante persone che vi sono care, alcune delle quali non sono più tra noi; come sarebbe possibile una tale veemenza di sentimenti se tutto finisse nel buio di una tomba? Certo, le persone che amiamo e ci hanno amati sono vive, altroché che sono vive! E la nostra fede è tutta qui: se Gesù è risorto, tutto è possibile anche a noi! Se Gesù non fosse risorto, tutto sarebbe vano. Ma Gesù è risorto, e quindi anche i nostri cari sono vivi, vivi con noi, vivi in noi, e li reincontreremo e saremo felici con loro per sempre.

Negli anni del Borgo Ticino, nell’attesa della Veglia Pasquale (don Bruno ci aveva “allenati” a non perdere mai per nessun motivo un solo minuto del Triduo Pasquale, culmine della nostra fede ed esperienza necessaria di morte e resurrezione per ciascuno di noi insieme a Gesù), noi giovani ventenni ci trovavamo la sera del Sabato Santo a leggere il Vangelo di Giovanni, dal grande discorso dell’Ultima Cena fino alla conclusione. Leggevamo al buio, emozionati, commossi fino alle lacrime. E poi a mezzanotte si accendeva il cero pasquale ed esplodeva la gioia della Resurrezione. Ecco, don Bruno ora è in questa abbagliante luce della Resurrezione, e vive finalmente nella gioia del suo Gesù Risorto. E ci guarda e ci sorride come sempre, ed è con noi tutti i giorni, come ha sempre fatto.

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