Uno dei più grandi ostacoli sociali per le giovani generazioni è la paura di compiere il primo passo nella conoscenza di una persona. Spesso, superato questo problema, i giovani diventano, quasi bruscamente, estroversi e aperti, ma il più delle volte, a causa della timidezza iniziale, ci si precludono ottime amicizie. Anche io provavo questa sensazione prima di partecipare al campo adolescenti dell’Azione Cattolica diocesana, per gli amici il campo ADO. È stata un’esperienza che mi ha fatto superare molte paure, infatti, confrontarmi con coetanei che vivono i miei stessi dubbi e problemi mi ha fatto sentire meno solo, grazie soprattutto alla forma e all’organizzazione del campo.
Prima di tutto, il viaggio in autobus per arrivare alla Casa “Le Conifere” di Lanzo d’Intelvi, il luogo dove si sarebbe svolto il campo, era avvolto da un’atmosfera elettrizzata, caratterizzata da impazienza ed eccitazione. Nonostante non conoscessi ancora nessuno, mi sentivo spinto a conoscere nuove persone senza quella barriera di cui prima parlavo. Arrivati alla casa alpina, gli educatori assegnavano le camere ai ragazzi, li mandavano a sistemare le proprie cose e cominciavano a organizzare le prime attività di conoscenza, dando così inizio al campo. Le giornate erano organizzate secondo questa scaletta:
Il risveglio avveniva alle otto da parte degli educatori, che passavano, con musica, camera per camera, a svegliare tutti per la colazione a base di latte, caffè, biscotti e merendine. Poi, divisi in gruppi, svolgevamo alcune attività che ci aiutavano a riflettere sul tema di quest’anno, ossia il futuro, i nostri sogni e le nostre speranze, come testimoniato dal titolo del campo “Backflip to the future”. La mia attività preferita tra quelle proposte prevedeva di creare una “carta d’identità” delle proprie passioni Gli educatori, in questa parte della giornata, avevano il ruolo di dare degli input per farci riflettere e confrontarci tra di noi ragazzi.
Durante i pasti avevamo il divieto di usare i cellulari e i posti a tavola cambiavano ogni volta perché venivano assegnati casualmente con dei segnaposti. Queste semplici regole ci hanno permesso di conoscerci meglio tra di noi.
Il pomeriggio, invece, solitamente, era dedicato ad attività più giocose. Tra queste, il gioco che ho preferito è stato “castellone”, in cui divisi in squadre ognuno ha aiutato la propria squadra in prove atletiche e giochi di astuzia.
In serata avevano luogo i “gioconi”, durante i quali eravamo divisi in squadre e dovevamo risolvere indovinelli, superare prove di abilità e paura. Particolarmente emozionante è stata una “caccia al tesoro” al buio del boschetto di fianco alla casa, che nascondeva braccialetti luminosi e gli educatori travestiti da personaggi buoni o cattivi “sbloccati” da questi braccialetti, ogni personaggio ci sottoponeva a delle prove, i primi a completarle tutte vincevano.
Infine, esausti, tornavamo a dormire nelle nostre stanze.
Questo campo è stato bellissimo per me: credo che il ricordo migliore sia quando, per punizione, gli educatori hanno mandato me e i miei compagni di stanza a lavare i piatti dai cuochi, e ci hanno ritrovati abbracciati a loro intonando canzoni degli 883.
La facilità con cui ho instaurato amicizie fraterne è stata stupefacente anche per me, non mi credevo capace di aprirmi così velocemente con delle persone. Le escursioni in montagna, seppur stancanti, non risultavano faticose con i miei amici a fianco, e la magia del campo era proprio questa: l’amicizia faceva dimenticare qualsiasi tipo di fatica. Auguro a chiunque un’esperienza del genere, che io porterò sempre nel cuore.
Marco Rizzi

